Sergio Pone
Alcuni anni fa si utilizzava l’espressione mal d’Africa per indicare quel particolare senso di nostalgia che affliggeva i viaggiatori appena lasciato il continente nero e che li portava immediatamente a desiderare, in modo struggente, di ritornarci.
Sono alcuni anni che ho contratto il mal di Sicilia. Soffro maledettamente ogni giorno della mia vita che non passo in compagnia dei siciliani, mangiando il loro cibo, inebriandomi dei profumi e dei paesaggi della loro terra, ascoltando la musica della loro lingua e godendo della loro ospitalità e della loro cultura antica.
Sono tornato a Acireale per il W-Sound con una banda numerosa di architetti/carpentieri che, con il loro naturale accompagnamento di rumore e polvere, avrebbe messo a dura prova il più gentile dei padroni di casa. E, invece, i proprietari di Villa Pennisi, seguiti dai loro collaboratori e dai negozianti del circondario, incuranti delle nostre molestie, e con grande naturalezza si sono accanitamente dedicati a prevenire, più che a esaudire, ogni nostro minimo desiderio. Hanno deliberatamente, e con evidente premeditazione, affiancato alla raffinata architettura della loro dimora e alla monumentale bellezza del giardino storico un’ospitalità discreta e affettuosa. Insomma, ho passato dieci giorni nel terrore di dover prima o poi partire.
Puntualmente è successo e mi pare chiaro che il mio male, sottoposto a questo genere di trattamenti, è destinato a peggiorare fino a cronicizzarsi e diventare incurabile.
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